Kafka e l’esoterismo dell’impossibile

Questa settimana, è stata per me una settimana molto impegnativa (sto completando, finalmente, Esoterica 5 e un libro dedicato ai tarocchi, visti da un’angolazione che, spero, vi stupirà) nella quale ho trovato anche il tempo di riprogrammare il widget delle fasi lunari.
Nei momenti di relax leggo e, in questi giorni, mi è ricapitato fra le mani ‘Il processo’, uno dei più celebri dei romanzi di Kafka. È un romanzo di un’ attualità ‘sconvolgente’ nonostante sia del 1925.
Per chi non lo conoscesse, racconta la storia di Josef K., arrestato un mattino senza sapere il motivo, e coinvolto in un processo assurdo, opprimente e inaccessibile. È un’allegoria dell’alienazione, del senso di colpa esistenziale e dell’inaccessibilità della verità.
Ho rispolverato, quindi, un breve articolo che avevo scritto (e mai pubblicato) qualche bel tempo fa, e ho deciso di condividerlo con voi, sperando possa essere fonte di interessanti spunti di riflessione. Colgo l’occasione per augurarvi, miei cari lettori, un sereno e magico periodo pasquale.

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Franz Kafka non ha mai scritto un trattato esoterico. Non ha mai invocato angeli, né parlato di talismani, non ha mai descritto rituali iniziatici nel senso stretto del termine. Eppure, chi lo legge con attenzione percepisce qualcosa di più di una semplice narrativa surreale o giuridica: una tensione invisibile verso l’oltre. L’oltre umano, l’oltre conoscibile, l’oltre accessibile.
L’opera di Kafka potrebbe essere letta come una lunga iniziazione… che fallisce sempre. I suoi personaggi, da Josef K. de ’Il Processo’, all’agrimensore K. de ‘Il Castello’, cercano una verità, un accesso, una porta che resti sempre chiusa o che scompare appena ci si avvicina.
Anche questa scelta ‘stilistica’ di Kafka, che lascia i suoi personaggi in una condizione di indeterminatezza, è tutt’altro che casuale: l’iniziale “K.” potrebbe essere un riferimento autobiografico (Kafka stesso), ma è anche un simbolo dell’uomo spogliato dell’identità, ridotto a cifra, a funzione, a supplicante davanti all’ignoto.
L’iniziazione esoterica tradizionale comporta l’accesso a una nuova conoscenza attraverso prove e passaggi simbolici. In Kafka, queste prove sono infinite, contraddittorie, e non portano da nessuna parte: l’iniziato resta eternamente “davanti alla legge”.
Ma forse è proprio lì, nell’impossibilità di accedere, che si nasconde il vero messaggio esoterico: non esiste una chiave esterna, tutto avviene dentro. La legge è fatta per noi, ma noi non siamo pronti ad entrarvi.
La mistica ebraica, in particolare la Cabala, parla spesso di un Dio che si ritrae per lasciare spazio alla creazione (Tzimtzum). Kafka sembra vivere in un mondo in cui Dio si è ritratto del tutto. Le sue narrazioni sono piene di autorità invisibili, apparati burocratici senza volto, padri terribili e giudici silenziosi. Un Dio che non parla più, ma che osserva. È l’esperienza del silenzio divino, dell’occulto che non si rivela.
Gregor Samsa, l’uomo che si sveglia trasformato in insetto, rappresenta una mutazione interiore devastante, forse una nigredo alchemica: la prima fase della trasformazione dell’anima, quella della decomposizione dell’identità egoica. È solo attraverso questa rovina che può emergere il nucleo autentico dell’essere. Ma Kafka, ancora una volta, ci lascia senza consolazione: Gregor muore nella sua forma abietta, e non si giunge mai alla trasmutazione finale.
Il linguaggio kafkiano è denso, pieno di ripetizioni, percorsi che si rincorrono. È un labirinto ermetico, dove ogni parola può essere una trappola o una chiave. Come nei testi esoterici, nulla è detto direttamente. Bisogna leggere tra le righe, ascoltare i silenzi, decifrare i non-detti.
Mentre l’esoterismo classico cerca il potere sulla realtà, Kafka ci parla dell’impotenza. Un’esoterismo rovesciato, dove la vera rivelazione non è il dominio ma la resa, non è la luce ma il riconoscimento del buio. Kafka non ci conduce alla gnosi, ma ci fa sentire tutta la sua mancanza.
Kafka è un autore iniziatico proprio perché ci nega l’iniziazione. Ci accompagna davanti alla soglia, ci mostra la porta, e poi la chiude. E ci lascia con la domanda più esoterica di tutte:

“Che cosa sei disposto a sacrificare, pur di sapere?”

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