Pochi sanno che la festa di S. Lucia non ha nulla a vedere con il cristianesimo.
Lucia non è altro che la rappresentazione cristianizzata della dea greca Demetra (o Cerere x i romani).
Le spighe di grano, gli occhi e la luce sono ripresi dai simboli pagani dei rituali tenuti nella città greca Eleusi.
Fino alla riforma del calendario, avvenuta nel 1582, il solstizio invernale cadeva infatti il 13 dicembre, da cui proviene il celebre proverbio:
“S. Lucia, la notte più lunga che ci sia.”
Inoltre l’origine del nome Lucia è latina, da Lux, Lucis ,Luminosa, Splendente oppure secondo altre versioni nata alle prime luci.
Qui si collega l’antica invocazione a Demetra, Dea della luce, affinché riporti la luce e l’abbondanza delle messi.
Nell’iconografia originaria Lucia quale portatrice di luce, identica a Demetra, era rappresentata con delle spighe di grano in mano, ma le rappresentazioni più moderne hanno sostituito le spighe con delle palme, più precisamente le palme del martirio, considerate più consone ad una santa.
Secondo il mito greco Demetra aveva donato la prima spiga al giovane figlio del re di Eleusi, Trittolemo, e gli aveva insegnato l’arte dell’agricoltura.
Lo aveva poi quindi fatto salire sul suo carro col compito di insegnare e diffondere a tutti gli uomini l’arte della semina e del raccolto affinché si sviluppasse una civiltà più elevata.
Tutto procedette per il meglio ed in abbondanza fino a quando Persefone, figlia di Demetra, venne rapita da Ade, il Dio degli Inferi, e fatta sua sposa.
La madre, disperata, abbandonò l’Olimpo alla ricerca della figlia e sulla terra giunse una terribile carestia dovuta all’assenza della dea, portatrice di luce che avrebbe garantito la morte di stenti di tutta l’umanità.
Zeus impietosito dalle richieste degli umani, inviò quindi Ermes da Ade per costringerlo a ridare Persefone alla madre, stranamente Ade accettò solo ad una semplice condizione, per sei mesi avrebbe passato il tempo con la madre e per i sei mesi restanti sarebbe rimasta con il suo sposo.
Il ritorno di Persefone sulla terra segna la fine della carestia ed il ritorno della luce, pensate un po’, proprio come S. Lucia.
Questa tradizione fa il paio con quella nordica ( e attualmente ripresa dal neo paganesimo) di ‘Lussi e la Langnatt, le quali principalmente grazie ai popoli longobardi si mescoleranno con quelle greche / latine dando vita a celebrazioni e miti che si fonderanno poi in quello che oggi noi riconosciamo come la festa di S.Lucia.
Gli antichi popoli nordici consideravano la notte fra il 12 e il 13 dicembre l’inizio del mese di Yule: da questo momento in poi le tenebre scendono sempre più minacciosamente sui campi e sui villaggi, dando l’impressione di una regressione nel caos e nell’indefinito che precede la creazione (è questo un tema classico delle festività pre-cristiane di questo momento dell’anno).
Bisogna subito notare che la fase per antonomasia in cui le forme sembrano regredire nell’oscurità, e quindi nel caos primordiale, coincide con i 12 giorni compresi tra il 25 dicembre (Yule – Natale) e il 6 gennaio (Perahta – Epifania).
In questo senso, possiamo considerare i giorni compresi tra il 13 dicembre e il 25, anch’essi, si noterà, in numero di 12, come una anticipazione dei successivi.
Non di rado le popolazioni dell’Europa centrale (Europa mitteleuropea e Nord-Italia) conoscono anche una terza fase, che va indicativamente dal 6 gennaio all’ultima settimana del mese.
L’ultimo giovedì del mese si ritrova l’usanza, ad esempio nell’Italia settentrionale, di bruciare in un grande falò la Giöbia o Giubiana, figura archetipica che altro non rappresenta se non la «Vecchia Invernale», la cui eliminazione rituale segna la fine della regressione nel caos e nell’oscurità e quindi l’inizio vero e proprio dell’anno, che porta con sé l’idea di un ritorno della luce sulla terra. Etimologicamente, la sua denominazione deriva dal complesso «Diana-Jana-Janua», dea della porta-transito dell’anno nuovo, così come il suo omologo maschile Giano-Janus, dio degli inizi e del primo mese dell’anno, Gennaio.
Secondo la tradizione scandinava, la notte del 13 dicembre, Lussinatt, è la notte più lunga dell’anno (per questo motivo fu denominata anche Langnatt, «Lunga Notte»), nonché la più buia e pericolosa.
Si ritiene che questa notte sia governata da Lussi («Luce»), uno spirito femminile considerato anche come Madre/Regina degli spiriti dell’Aldilà e di entità tipiche del foklore europeo quali elfi, gnomi, fate e troll, che essa conduce dietro di sé in una sorta di processione fantasma (Lussiferda).
Secondo la tradizione, è proprio nel periodo dell’anno in cui le tenebre scendono minacciose sulla terra, vale a dire il mese di Yule, che è possibile imbattersi in questa sinistra processione: si ritiene infatti che questo sia il periodo dell’anno in cui il confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti (e degli spiriti e delle entità fatate) non sia ben definito, ragion per cui viene considerato come il più pericoloso dell’anno.
Si noti anche come probabilmente questa processione sia connessa con il più noto Dianaticus, corteo di anime dannate e di esseri fatati conosciuto dalla tradizione centro-europea condotto dalla dea Diana, omologa in questo periodo dell’anno alla «Vecchia d’Inverno» .
Ad ogni modo si credeva che, durante la Langnatt, i bambini che non si erano comportati a dovere potessero essere rapiti da Lussi e, condotti su per il camino, portati nel mondo dei morti. Probabilmente questa credenza è connessa con la funzione distributiva della Befana che, se da una parte porta regali ai bambini che si sono comportati bene, dall’altra punisce gli altri portandogli il carbone (c’è forse un nesso tra il carbone, il cui colore nero simbolizza ancora una volta le tenebre della regressione nel caos, e il camino, che durante la notte in questione funge per così dire da “passaggio” tra mondo dei vivi e mondo dei morti).
Lussi inoltre verificava anche che i preparativi per la grande festa di Yule fossero rispettati, e in caso contrario aveva facoltà di punire le famiglie ritardatarie.
In questa notte era inoltre severamente proibito compiere ogni genere di lavoro: l’attività umana doveva fermarsi, “congelarsi” come la natura stessa giaceva immobile, “congelata” in vista di un nuovo “inizio”.
Si credeva anche che questa fosse l’unica notte dell’anno in cui gli animali potessero parlare (una credenza che in Italia riguarda perlopiù la notte di Natale e quella dell’Epifania, le altre due festività topiche della «crisi solstiziale»): essi chiacchierano fra di loro scambiandosi le opinioni sui propri padroni e sul trattamento che essi riservano loro.
Per questa ragione, era consigliabile trattarli meglio del solito, concedergli cibo migliore e pulire accuratamente la stalla.
È interessante notare come il passaggio dalla festa pagana a quella cristiana non sia avvenuto in modo temporalmente ben definito.
Sappiamo per certo che in Svezia la credenza in Lussi era ancora viva durante il XIII secolo, quindi quasi mille anni dopo il martirio di S. Lucia.
Inoltre, sebbene il Cristianesimo iniziò ad attecchire in Scandinavia intorno all’anno 1000, la festa per come la conosciamo oggi vi prese piede solamente negli ultimi secoli, grossomodo a partire dalla fine del XIX secolo (in Danimarca nel 1898, in Svezia nel 1927, in Danimarca nel 1944 e in Norvegia dopo la Seconda Guerra Mondiale).
A tal riguardo, è curioso il fatto che ancora oggi in Svezia si canti per questa occasione la melodia di un canto tradizionale napoletano intitolato Santa Lucia, che risale al 1849.
È dunque lecito supporre che in questo enorme lasso di tempo dalla durata di molti secoli le antiche credenze pre-cristiane persistettero, in particolar modo nelle aree più rurali della Scandinavia, per sincronizzarsi definitivamente con la festività cristiana solo nel XX secolo.
Sebbene gran parte della simbologia antica sia venuta meno nella nuova veste cristiana della festività, vi è da sottolineare l’aspetto “terrifico” che la santa in qualche modo mantiene, in connessione con la divinità pagana Lussi.
Si ritiene infatti che i bambini non possano guardare S. Lucia mentre questa, giungendo nella loro dimora, porta con sé i doni a loro riservati, pena di vedersi gettati negli occhi della cenere che causa loro una cecità temporanea, ciò essendo forse connesso al ‘topos’ dello sguardo esiziale della «Signora d’Inverno», che ricalca una credenza molto diffusa nell’antichità riguardo a divinità femminili per così dire “oscure” e “terrifiche” (si pensi ad es. alla Medusa-Gorgone).
Anche il fatto che la santa appaia privata degli occhi, che tiene in mano, ha una valenza “terrifica” epperò anche simbolica: gli occhi, simbolo solare, sono rimossi in quanto il Sole in questo periodo dell’anno sembra “morire”, “scomparendo” nelle tenebre invernali.
Rinascerà solo la notte di Yule, il 25 dicembre, quando secondo la tradizione grandi fuochi si accenderanno in tutto il villaggio per festeggiare il ritorno del Sole (ri)Nascente.
Eppure, anche se “terrifica”, questa Lussi è come abbiamo detto colei che concepisce questo Nuovo Sole: da qui la sua denominazione di «Luminosa».
A questa credenza è legata l’usanza in voga tutt’oggi principalmente in Svezia di cucinare un particolare tipo di dolce durante la notte di S. Lucia, i ‘Lussekatter’ (chiamati da noi i gatti di S. Lucia), di colore giallo come il sole e la luce, formato da una duplice spirale, veicolante ancora una volta l’idea di una rinascita periodica, di una resurrezione ciclica.
« In questa misteriosa vecchia si rivelano le antiche dee decadute in streghe, astrologhe e sacerdotesse come Medea, Circe, Pasifae, Arianna… e tutte le altre “Figlie del Sole” spose, figlie e madri dell’astro addette a rigenerare l’anno “rimembrandolo”, catturando, cioè, il sole nel “caldaio” solare per “rifonderlo” al calore del fuoco. »