La pietra filosofale

La pietra filosofale: simbolo alchemicoNel Rinascimento l’alchimia, già viva presso gli Arabi e largamente praticata nel Medioevo, si diffuse

in tutta l’Europa.
Con le sue effettive scoperte essa preparò l’avvento della chimica moderna.
Le ricerche degli alchimisti erano tutte dominate dalla speranza di trovare la pietra filosofale, il lapis, capace di trasformare in oro tutti gli altri metalli, nonché l’elisir di lunga vita, che avrebbe dovuto dare all’uomo il dono dell’immortalità.
Nonostante l’illusorietà di tali speranze, l’ideale di una sempre maggior potenza e del dominio dell’uomo sulla natura agivano profondamente sulla mentalità degli scienziati di quel tempo.
L’idea di una trasformazione dei metalli non era “campata in aria” in quanto tale possibilità non urtava contro nessuna delle cognizioni scientifiche del tempo e aveva gli stessi scopi che si propone oggi la sintesi chimica che prevede e controlla il raggruppamento molecolare di sostanze diverse.
Secondo le aspettative del tempo chi fosse riuscito a trovare la pietra filosofale non solo sarebbe diventato l’uomo più ricco del mondo, ma avrebbe anche goduto di perpetua giovinezza e salute.
Eppure, come osserva Jung attraverso lo studio comparato di miti e antichi testi, l’alchimia, archetipo dell’Anthropos, illustra quella stessa fenomenologia psichica che il terapeuta osserva durante il confronto con l’inconscio.
Il simbolismo alchemico è l’emblema di quel fenomeno noto non solo in ambito psicoanalitico ma anche nei normali rapporti umani: la traslazione.
Vi sono stretti rapporti tra l’alchimia e la psicologia dell’inconscio ed è nella proiezione, emergente nelle relazioni, che l’inconscio si manifesta, attraversando le sue tappe per giungere al compimento dell’Opus (l’unione).
Nel Medioevo, attraverso l’opera degli alchimisti, si mette a fuoco per la prima volta in modo chiaro il desiderio dell’uomo di oltrepassare i limiti imposti alla natura umana; l’alchimia, in questo senso, anticipa e prepara l’avvento della moderna civiltà.
Sull’onda di tale profondo desiderio che, com’è noto, C.G. Jung interpreta simbolicamente come cammino interiore alla ricerca del Se, anche sul finire del millecinquecento, quando il metodo sperimentale aprì alla scienza nuove vie, l’alchimia continuò a godere di una notevole fama e ad offrire a strane figure di avventurieri la possibilità di rapidi arricchimenti e di gigantesche truffe a danno di principi e nobili piuttosto ingenui.
L’idea delle enormi ricchezze che la pietra avrebbe potuto dare colpiva, infatti, a tal punto l’immaginazione che gli alchimisti ricevettero, al pari degli artisti, denaro e ospitalità presso governi desiderosi di incrementare la loro potenza.
Molte persone di talento credettero fedelmente nella reale possibilità di ottenere l’oro: la regina Cristina di Svezia, ad esempio, ma anche personalità di grande prestigio come il filosofo Bacone o il grande matematico e filosofo Leibniz ebbero, su questo argomento, convinzioni fermissime.
Jung ha trattato il mito della pietra filosofale facendone l’emblema della psicoterapia.
Il Lapis, infatti, la materia prima che gli uomini cercarono inutilmente per secoli, va rintracciata nell’essere umano stesso.
Per questo gli alchimisti possono essere considerati dei mistici la cui esistenza è stata dedicata al processo ‘individuativo’.
Non si sa fino a che punto fossero consapevoli della vera natura della loro arte.
Di fatto, da un lato correvano il rischio di errare o d’esser sospettati di pratiche fraudolente, dall’altro rischiavano il rogo destinato agli eretici.
Alcuni, come il famoso Paracelso, furono perseguitati e costretti a lavorare nell’ombra, altri si arricchirono alle spalle di principi bramosi quanto ingenui.
Uno dei più noti fu Bragadino che compì una delle più grandi truffe della storia ai danni della Repubblica di Venezia.
Per ottenere credito invitava centinaia di persone ai suoi esperimenti.
Dopo che i notabili avevano preparato il crogiolo e vi avevano versato le sostanze indicate (carbone, mercurio, ferro ecc.), Bragadino versava un po’ di polverina nel miscuglio, rimescolando il tutto con una bacchetta.
Puntualmente, dopo ogni esperimento il fondo del recipiente era ricoperto di uno strato di purissimo oro.
Quando il truffatore ebbe accumulato una ingente somma di denaro, fuggì da Venezia e di lui non si seppe più nulla.
Molto più tardi fu scoperto l’inganno: la verga di ferro di cui si serviva per rimescolare, era piena di una sottile polvere d’oro trattenuta da un tappo che, a contatto col calore, si scioglieva facendo discendere la limatura sul fondo.
A differenza di questo disonesto avventuriero, l’alchimista, come il moderno terapeuta, prende molto sul serio il suo lavoro che lo porta inevitabilmente a confrontarsi con l’Ombra (fase della nigredo).
È una situazione difficile che lo porta al coinvolgimento e alla trasformazione.
Vi sono trattati che analizzano a fondo la natura dell’Opera.
Scrive l’anonimo autore del Rosarium Philosophorum, intorno al 1500:

“…E’ la pietra il Maestro dei Filosofi… perciò il Filosofo non è il Maestro della pietra, bensì ne è il servo.
Di conseguenza, chiunque tenti, con l’arte o con un artificio non naturale, di introdurre nell’arcano qualcosa che per natura non vi si trovi, erra e si pentirà del suo errore.” 

Commenta C.G. Jung:

“È chiaro che l’artista non procede secondo il suo capriccio creativo, ma è spinto ad agire dalla pietra stessa; e questo maestro a cui egli è subordinato non è altri che il Sè. Il Sè vuol rendersi manifesto nell’opera, e perciò l’Opus è un processo d’individuazione o di divenire del Sè.”

Tornando ai giorni nostri e tentando un parallelismo tra le pratiche mistiche dell’alchimista e i miti moderni di redenzione, mi chiedo a cosa può corrispondere, oggi, la ricerca della pietra filosofale.
Cosa cerca, oggi, l’uomo? Quali sono le sue mete più ambite? Quali le truffe, i nuovi giochi di prestigio??? …
Nella sua variante ombrosa, al negativo, il nuovo mito che illusoriamente sembra garantire potere e felicità eterne, è il denaro, mentre nell’aspetto etimologico positivo del religere ( il termine religere, da cui deriva la parola religione, significa  riunire in particolare riunire il cielo con la terra) la ricerca è quella che, da sempre, muove lo spirito umano, oltre le colonne d’Ercole, nella vita di ogni giorno.
È la ricerca di Dio, dell’anima, del benessere interiore e della serenità.
È la ricerca della salute, del giusto e del bene non solo personale.
È ricerca che si dà attraverso il confronto autentico con l’ombra e la conflittualità che, pur lacerando la coscienza, ogni volta, reintegrandosi in un terzo punto, superiore, contribuisce, dopo la coniunctio, la morte e la fermentatio, all’ascesa dell’anima ed alla purificatio di una coscienza rinnovata, nella percezione dell’essere e del divenire umano.

 

Articolo di Laura Ottonello

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